NINA, DEVI TORNARE AL VISO

Era il 16 agosto 1864, quando una giovane donna piemontese, Alessandra Re Boarelli, riuscì, dopo un primo tentativo non portato a termine, avvenuto l’anno precedente, a raggiungere il Monviso, chiamato anche il Re di pietra.

La cima di 3.841 metri era stata scalata per la prima volta da una cordata totalmente italiana nell’agosto 1863 e insieme a loro c’era Quintino Sella, colui che avrebbe fondato il famoso club di alpinisti italiani (CAI) e che fu per tre volte ministro delle finanze. Il Sella da parte sua serbava il desiderio di compiere un’ascensione sul Monviso, montagna simbolo che domina le pianure di Torino, Saluzzo e Cuneo, con una cordata tutta italiana, per celebrare una conquista in nome dell’Italia da poco unificata. 

Lo stesso anno, cercando di anticipare di una settimana la cordata di Sella, Nina, così veniva chiamata Alessandra Re Boarelli, tentò con l’aiuto della guida alpina Bartolomeo Peyrot di raggiungere la vetta, ma l’iniziativa non ebbe esito positivo forse a causa del tempo incerto che impedì di arrivare forse a causa della guida che non volle proseguire. Giunsero, infatti, accompagnati ad esso, solo fino al campo base nel pianoro del Forciolline a 2835 metri di altezza.

Alessandra Re, torinese di nascita, si era trasferita a Verzuolo nel 1856 per il matrimonio con il nobiluomo Emilio Boarelli. Aveva 25 anni ed era già madre di due figli quando partecipò alla spedizione. Era una donna determinata, colta e moderna, pronta a sfidare convenzioni e pregiudizi, anche se per i costumi dell’epoca non era un’impresa semplice da affrontare per una donna, sia per le difficoltà pratiche che per l’opinione pubblica. L’alpinismo sino ad allora era di esclusivo predominio maschile, prima di lei soltanto altre due donne avevano partecipato a delle scalate, Marie Paradis cameriera in una locanda di Chamonix, senza alcuna esperienza di quota aveva raggiunto la cima del Monte Bianco il 14 luglio 1808 trascinata al seguito di un gruppo guidato da Jacques Balmat, ma non si può dire che la sua sia stata una vera impresa alpinistica e trent’anni dopo la facoltosa nobildonna ginevrina Henriette d’Angueville, prima pioniera al femminile, vestita con una gonna sotto la quale si nascondeva un paio di pantaloni, con sei guide e sei portatori aveva raggiunto anche lei la più alta vetta delle Alpi il 4 settembre 1838.

Dopo il primo tentativo, fallito, di salita sul Monviso, nel 1863, la giovane donna non si perse comunque d’animo e l’anno seguente ritentò l’ascensione. La comitiva era composta, oltre che da lei, dalla quattordicenne Cecilia Fillia, figlia del notaio di Casteldelfino, da don Carlo Galliano parroco di Casteldelfino, da una guida locale e dai signori Maynardi e Richard. Sistemato nuovamente il campo alla Maita Boarelli, bivacco sul pianoro delle Forcioline che Sella aveva chiamato così in onore di Nina, il giorno dopo il 16 agosto 1864 la cordata raggiunse la sommità del Monviso. Scrive L’Opinione del 25 agosto 1864: «Il giorno seguente di buon mattino intraprendevano la salita del monte. Il tempo, dianzi piovoso, si rasserenò come per cortese riguardo al bel sesso che coraggiosamente s’avventurava per quelle roccie, per l’addietro reputate inaccessibili…».

Nonostante l’importanza di questa impresa, essa venne per lungo tempo minimizzata dagli organi d’informazione, come ad testimonia l’immediata presa di posizione de La sentinella delle Alpi del 25 agosto 1864: «Ora che è provato che perfin le donne raggiunsero quella punta culminante, che fino all’anno scorso si credette inaccessibile, chi sarà quel touriste che si perderà di coraggio all’atto della prova?».

Dopo questa avventura e nonostante la passione per l’alpinismo, Alessandra Boarelli si dedicò alla vita familiare e ai figli. Morì a Verzuolo nel 1904 all’età di 66 anni.

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