BEATRICE TOMASSON E LA PARETE SUD DELLA MARMOLADA

L’alpinismo è da sempre stato un campo principalmente maschile. Ma è importante non dimenticare che già nel XIX secolo molte donne presero parte a numerose spedizioni, spesso al seguito di padri, mariti e fratelli (come Elizabeth Tuckett, sorella del più famoso Francis Fox Tuckett), ma in alcuni casi da sole, accompagnate da guide alpine locali.

Questo è il caso di Beatrice Sybill Tomasson. Nata nel 1859 in una famiglia della media borghesia, a 22 anni si recò in Prussia come istitutrice privata e dove si dedicò anche alla traduzione.

La sua ambizione letteraria si esaurisce presto e, all’età di 25 anni, si trasferisce a Innsbruck dove, nel 1893, diventa membro del Club Alpino Austriaco, insieme a una dozzina di altre donne e lavora come istitutrice di Edward Lisle Strutt, con il quale si dedica all’alpinismo e che, in seguito, la definirà la migliore scalatrice del Tirolo.

Con la guida alpina Michele Bettega compie diverse prime ascensioni nel gruppo della Pala e avventurose scalate con la guida Arcangelo Siorpaes nei dintorni di Cortina.

 Ma la sua più grande avventura fu la tanto desiderata parete sud della Marmolada, che la consacrò come una delle più grandi alpiniste del suo tempo.

La prima ascensione della Punta Penia, la vetta più alta del gruppo della Marmolada, fu compiuta da Paul Grohmann nel 1864, con le guide alpine, Angelo Dimai e Fulgenzio Dimai. 

Il 1° luglio 1901, con le guide alpine Bartolo Zagonel e Michele Bettega, Beatrice Tomasson si recò alla base della parete Sud. La via era piuttosto difficile per l’epoca, di grado 4 sostenuto con qualche 5. Tomasson non lasciò tracce e la notizia non circolò. L’unico resoconto esistente è quello scritto dalla donna sul Führerbücher di Bettega (un piccolo libro che le guide alpine portavano con sé per annotare le loro ascensioni), oggi conservato presso la Biblioteca della Montagna – SAT. Qui scrisse:

Prima salita della Marmolada per la parete Sud (di roccia). La salita è stata effettuata (con Bartolo Zagonel come seconda guida) direttamente dal Passo dell’Ombretta, un po’ a est della culminazione del Passo. I primi due terzi della via sono a mio avviso i più difficili che abbia mai incontrato nelle Dolomiti, richiedendo più forza, abilità, resistenza e coraggio di qualsiasi altra cosa io conosca. Il resto della salita sarebbe stato più facile se non fosse stato per una tempesta di tuoni, grandine e neve che l’ha resa più difficile e pericolosa. Siamo stati 12 ore sulle rocce, scendendo dal ghiacciaio fino a Fedaia; le ultime ore sono state una prova di resistenza e siamo stati tutti bagnati da un vento forte e molto freddo. Bettega ha guidato per i primi due terzi del percorso e ha superato se stesso in tutto e per tutto, superando difficoltà apparentemente insuperabili con il solito – immancabile – coraggio.

La via, che porta i nomi dei tre apritori, Tomasson-Bettega-Zandonel, conta 29 tiri di IV/ IV+ max V grado, con 650 m di dislivello e 1000 m di sviluppo.

Per l’epoca fu una vera e propria impresa. L’ascensione venne completata in un solo giorno (12 ore di scalata e le ultime compiute nel corso di una tempesta). Giunti in cima Beatrice stappa una bottiglia di champagne, come d’abitudine tra gli scalatori inglesi. La discesa avviene con le pedule fradice perché uno dei portatori, arrivando dal ghiacciaio sottostante la vetta, ha dimenticato quelli asciutti.

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