3 GENERAZIONI IN MONTAGNA

“A mia mamma Cornelia, grande donna che amava la montagna più di ogni altra cosa”. 

La montagna. La passione più grande che i miei genitori mi hanno trasmesso. La domenica ci si alzava presto, verso le 5 e si partiva per la Marmolada (a 10 anni), la Val di Fassa, il Brenta, la Val di Rabbi, Peio, Vioz, su ghiacciai, ferrate, sentieri del Lagorai e tanto altro. Camminate anche di 10 ore.

Mamma Cornelia, Marmolada 1962

 

 

 

 

 

 

 

In cordata sempre io con mia mamma Cornelia, che conosceva la roccia, i sentieri, la cima di ogni montagna come fossero casa sua. Mi insegnava ad usare correttamente i piedi sulla roccia, mi indicava come e dove mettere le mani, ad usare bene corda e moschettoni. Sul ghiacciaio mi insegnava l’uso della piccozza e dei ramponi, mi spronava nei momenti difficili, di fatica e poi mi insegnava i nomi dei fiori, delle piante, dei sentieri, delle cime. Che ricordi!

Cornelia (1931) e Giuliana (1968) sulla Ferrata Mesules 1980

 

 

 

 

 

 

 

In estate facevamo una settimana in Brenta. Si partiva da casa a piedi, prendevamo la corriera a Lavis, con il nostro zaino stracarico. Ricordo ancora i vicini che, dalle finestre, ci salutavano quando ci vedevano passare. Con la corriera si arrivava ad Andalo e da lì ci si incamminava a piedi verso i rifugi: Altissimo, Selvata, Pedrotti, Agostini , Brentei, Casinei. E che arrampicate sui massi vicino ai rifugi, ci si allenava, non si stava mai fermi. Nello zaino c’era di tutto e di più, persino la pasta calda nelle thermos e la mitica cotoletta che la mamma, la mattina presto, preparava ad ognuno di noi 4 figli. E sopra lo zaino, il sacco a pelo (a quei tempi era molto pesante) che utilizzavamo a dormire nei rifugi. Ricordo che vedevi un enorme zaino che camminava con due piccole gambette sotto: le nostre. E che bello era!

Con papà e fratelli – Cima Presena 1977

 

 

 

 

 

 

 

 

Da lì è iniziato il mio percorso e la mia vera passione per la montagba. Si doveva camminare e guai lamentarsi. Tutto questo, per me, è stata una scuola di vita: rispettare l’ambiente, la natura, la montagna.

Giuliana su Cima Tosa – settembre 2017

Quando arrivo sulla cima mi siedo, mi fermo, ammiro, penso, gioisco di tutte le meraviglie che vedono i miei occhi. Ho imparato anche, camminando tanto per ore ed ore, da sola per tanti anni, a conoscere me stessa, i miei limiti, le mie possibilità, a riconoscere la paura e come affrontarla. Si impara a rispettare sé stessi, il rispetto della propria vita e di quella degli altri. Sulle scalate con i miei genitori la parola chiave era “sicurezza” ed è quella che continuo a portare dentro di me e che cerco di trasmetterla agli altri. Durante gli anni, quando è nata mia figlia Magda (1997), ho iniziato a portarla in montagna, prima nel marsupio davanti con lo zaino dietro e poi lei dietro sulla schiena e lo zaino davanti.  Infine dai 2 anni, legata al cordino che camminava da sola su per i sentieri, con il suo zainetto e via per giorni a fare l’attraversata del Brenta o del Catinaccio o tante altre. Ora arrampichiamo assieme in falesia o comunque facciamo i nostri bei trekking in montagna durante tutto l’anno, in qualsiasi stagione, raggiungiamo assieme tantissime cime, condividiamo sentieri, la fatica ad arrivare in cima, le ferrate e altro.

Cima Ferrata Roda di Vael  – mamma e figlia

 

 

 

 

 

 

 

L’amore per la montagna l’ha portata anche a fare un lavoro estivo per due anni in un rifugio della Valtellina, ai piedi dei famosi e bellissimi Gran Zebrù, Cevedale, Monte Pasquale. La vita da rifugio, chi la conosce, sa che non è per niente facile. Ogni tanto mi sembra di rappresentare tutto questo come una cordata fatta di 3 donne (nonna, io, mia figlia) unite dalla stessa, bellissima passione: la montagna . Quella montagna che ci ha fatto e ci fa illuminare gli occhi, che ci riempie il cuore, che ci da la forza e ci sprona  ad arrivare in cima, a raggiungere il nostro obbiettivo. Tutto questo è possibile paragonarlo alla vita, a quel meraviglioso obbiettivo che è vivere la vita in tutte le sue sfacettature, come sfacettata è la roccia a cui arrampicando ci siamo tenute e ci teniamo aggrappate.

Veduta della Cima del Gran Zebrù

 

“Le grandi montagne hanno il valore degli uomini che le salgono, altrimenti non sarebbero che un cumulo di sassi”

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