TAMARA LUNGER: “LA MIA QUASI FUGA DAGLI 8000 MILA”

«Avis e la montagna», un connubio vincente vista la splendida di alcuni giorni fa Pergine Valsugana. Passione, sport e salute hanno coronato quello che è stato un successo di pubblico. E’ stato il presidente della sezione Avis di Pergine a fare gli onori di casa: “Passione, sport e salute – spiega il presidente Fruet – sono argomenti strettamente correlati ad Avis: di passione, noi avisini, ne abbiamo da vendere in quanto ci appassioniamo alla vita e doniamo vita con un semplice gesto; sport e salute poi sono due aspetti che dovremmo tutti, e non solo chi dona il sangue, avere come prioritari. Noi siamo sì, la banca del sangue ma il nostro unico interesse che applichiamo è quello della vita, e la montagna, in cui si rispecchiano i nostri valori e lo stile di vita che è necessario per essere in salute e quindi buoni donatori, molto spesso ci insegna anche ad affrontare la vita, con le sue salite ma fortunatamente anche le sue discese». A presentare gli ospiti sul palco ci ha pensato il giornalista Gabriele Buselli. Ospite d’eccezione la trentenne alpinista altoatesina Tamara Lunger che ha incantato il pubblico con la sua semplicità, la sua ironia e le sue imprese. Il titolo del suo intervento: “scendere per risalire”. Nitido è il riferimento al suo ritorno a casa dopo aver dovuto fermarsi a 70 metri dall’ascensione invernale del Nanga Parbat. Noi di Donne di Montagna l’abbiamo incontrata a fine serata e ci ha fatto qualche confidenza.

Foto: Mariotti Giorgio

La vetta ad ogni costo sembra non apparire più nel “vocabolario” alpinistico. Pensi sia cosa buona?

«Il fatto che non ci sia più nel vocabolario sicuramente è una cosa positiva perché così nessuno si sente obbligato o sforzato di morire, e quindi, anche per me personalmente è più il viaggio quello che conta. Quello che ti succede anche senza cima perché di solito quando una cosa non va come vuoi tu, con imprevisti, allora impari molto di più. Questo ti porta un insegnamento molto più grande di ciò che avevi previsto».

Il tuo ultimo viaggio in giro per il mondo. Pensieri, preghiere, riflessioni…volevi in qualche modo ritrovare te stessa?

«Sono quasi scappata dal turismo degli ottomila, perché ho scoperto che non è così come me lo immaginavo o come avrei voglia che fosse. Avevo quindi bisogno di qualcosa d’altro, anche un po’ più sportivo e atletico. Volevo diventare di nuovo un tutt’uno con la natura. Non volevo più dei problemi con altre persone ma, appunto, volevo essere a contatto con la natura dove puoi sentire te, molto profondamente».

Con il tentativo di attraversata del Kangchenjunga hai alzato l’asticella delle difficoltà in Himalaya, pensi di riprovare un giorno l’impresa?

«Mi piacerebbe provare a tornare al Kangchenjunga, con Simone, magari non subito. Potrebbe succedere tra un paio d’anni ma vorrei fosse in un modo diverso anche se non so bene come. La cosa che mi sono ripromessa è che non andrò più ai campi base con molta gente. Nella vita poi si può sempre cambiare, ma preferirei di no».

La cordata con Simone Moro è ormai consolidata. Vedi il tuo futuro alpinistico con lui? E semmai su quale montagna?

«Si, la cordata con Simone è solida, questo è vero. Nessuno mi conosce così come lui, nessuno ha la voglia di capirmi così bene come lui. D’altronde io non sono una ragazza così poi facile da gestire. Comunque noi ci capiamo e ci fidiamo, quindi sicuramente abbiamo qualche sogno in comune nel cassetto, ma non escludo di fare anche altre esperienze con altre persone».

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