LA NASCITA DI UNA PASSIONE

Può nascere una passione e cambiarti la vita?
Si, a me è successo ed è una passione che non ha fine, si autoalimenta e cresce continuamente e mi dà una felicità impagabile.
Tutto ebbe inizio quando inconsciamente riuscii a liberare la mente ed il cuore, aprendoli a nuove esperienze, con un nuovo atteggiamento verso la vita; forse era destino che le cose andassero come sono andate, infatti sono convinta che nulla accada per caso.
In questo mio percorso di grande aiuto è stato Antonio, mio marito, che pur rimanendo spesso “dietro le quinte” mi ha stimolata a mettermi in gioco…
L’unica attività sportiva che ho praticato fin da piccola è stata lo sci da discesa nel tempo che mi restava libero dallo studio. In compagnia della mia famiglia e degli amici, ho anche partecipato ad alcune gare, riuscendo peraltro ad ottenere buoni risultati. Ma il mio impegno era relativo e solo ora capisco che la vera passione è ben altro.

Antonella durante una gara di sci

Verso i 35 anni ho iniziato a girare le nostre montagne con il rampichino, imparando il significato del raggiungere un traguardo con un importante impegno mentale e fisico. Sbocco naturale di questa nuova prospettiva sono stati lo scialpinismo e la corsa. Lo scialpinismo in particolare lo avevo sempre visto come qualcosa di estremo ed adatto a fisici “superiori” e quindi non alla mia portata. Scoprire invece che questo non era vero ha fatto accendere una grande illuminazione sul mio futuro. Forse anche altro sarebbe stato possibile per me!

Ed allora vennero i corsi di scialpinismo, roccia ed alta montagna, gite e gran sciate in neve fresca dove la fiducia in me stessa e nelle mie capacità continuava a rafforzarsi. Per sostenere efficacemente queste attività era naturalmente necessaria una buona preparazione fisica. Seguendo così i consigli che avevo ricevuto dai miei istruttori iniziai a correre e siccome una cosa tira l’altra mi lasciai prendere la mano ed andò a finire che feci anche 7 maratone, una all’anno.
Più salivo di quota e più mi incuriosiva come sarebbe stato più in alto…ho iniziato a leggere libri di montagna ed a sognare i colossi della terra…così quando una sera di novembre del 2002 mio cognato, Maurizio mi illustrò il suo programma di andare in Nepal, non ebbi alcun dubbio: era arrivato il mio momento! Non impiegai molto a vendere la mia iscrizione alla Vasaloppet (già, dimenticavo di dire che nel frattempo mi ero messa anche a fare sci da fondo…) prevista per il marzo successivo, per poter avvicinare di prima persona i giganti himalayani. Il Nepal con le sue immense vallate, i rododendri giganti ed i monasteri mi diede emozioni ben superiori a quelle che avevo immaginato, ma fu la visione di un ottomila, la parete sud dell’Annapurna, che mi lasciò ammutolita e con una profonda e quasi mistica felicità per avere avuto la fortuna di essere arrivata sino a lì, dove la natura si mostrava in tutta la sua potenza. Fu amore a prima vista; non aveva più importanza quanto fosse freddo, quanto fossi stanca, ogni disagio fisico era passato in secondo piano perché avevo finalmente conosciuto un ottomila, una montagna bella e grandiosa!

Quando Antonio mi vide al rientro, capì che non sarei più tornata la stessa di prima, ero cambiata. Avevo quella luce negli occhi che poi ho iniziato a vedere, come in uno specchio, negli altri frequentatori dell’alta montagna. Da uomo intelligente, mi propose da lì a poco, di andare l’anno successivo assieme sul Kilimanjaro. Accettai con grande entusiasmo la sua idea e, per prepararmi ad affrontare situazioni potenzialmente pericolose, iniziai a studiare seriamente e con passione la Medicina di Montagna, avvicinandomi a tal fine alla Società Italiana di Medicina di Montagna e stringendo con essa rapporti sempre più stretti che mi portarono a diventarne la vice presidente.
In quel periodo, per un caso fortuito mi imbattei in Sergio Martini, noto alpinista roveretano, di quelli veri, che ha scalato tutti gli ottomila e molto altro, col quale stringemmo presto una solida amicizia. Fu lui che ci diede una mano nella preparazione della salita. Furono gran gite, con e senza neve, per molti mesi, accompagnati da uno dei più grandi alpinisti della terra.

La salita al Biancograt al Piz Bernina

Ricordo la prima montagna, alta e tecnicamente semplice, delle nostre zone, il Vioz. La salimmo, io ed altri 2 amici, accompagnati dal grande Sergio. Per tutta la camminata, sia durante la salita che al ritorno, lo importunai con domande e domande sugli ottomila ed in particolare sull’Everest; non so come, ma alla fine invece di essere mandata al diavolo mi ritrovai con un nuovo amico.
Il Kili con Antonio fu un successo; purtroppo la prossima meta che ci eravamo dati, l’Aconcagua, non la affrontammo mai a causa di problemi alle ginocchia che nel frattempo avevano colpito mio marito e che gli impedivano questo tipo di avventure. Io però ormai avevo preso una brutta piega….

Tornai in Nepal per il mio 50° compleanno. Sergio Martini sarebbe andato a scalare l’Everest da sud ed io ed un’altra persona lo avremmo accompagnato nella prima fase dell’acclimatamento. In programma c’era la salita all’Island Peak ma dovetti desistere e lasciarli andare da soli, aspettandoli con un grande magone a Chhukung. Festeggiai il mio compleanno felice di aver passato la notte ed essere ancora viva… mi aveva infatti colpita una gastroenterite devastante che mi aveva lasciato completamente senza energie, distrutta.
Dopo qualche giorno arrivammo al Campo Base dell’Everest e con grande difficoltà, a causa della debilitazione causata dalla gastroenterite, seguii Sergio lungo la prima parte della salita al labirinto di ghiaccio chiamato Icefall, che porta al campo 1. Mi sentivo come in un sogno, tra blocchi di ghiaccio e laghetti di acqua glaciale; era mezza mattina e di quella giornata ricordo più il caldo che il freddo, anche se la notte nella mia tenda c’era una media di -10°. E’ stato bello vivere qualche giorno l’atmosfera del campo base, facendo conoscenza con la fauna tipica di quel posto mitico: gli alpinisti, quelli veri. Fu in quella occasione che conobbi Angelo Giovannetti e molti altri nomi di spicco nel panorama alpinistico mondiale.

E’ vero, quella volta non salii l’Island Peak, ma quella spedizione mi lasciò comunque un ricordo indelebile ed una ancor più forte voglia di montagna. Voglia che, due anni dopo, mi spinse verso il Caucaso alla volta dell’Elbrus, la cima più alta d’Europa, con una piccola spedizione. Le perplessità e le incognite erano molte ma l’entusiasmo prevalse e con la fortuna di una finestra di bel tempo di 24 ore in un mare di giornate nevose e di bufera, riuscimmo a goderci il panorama del Caucaso stendersi ai nostri piedi dai 5640 metri della cima. La fortuna aiuta gli audaci!

Antonella sulla vetta dell’Elbrus nel 2010

Come ho già anticipato, nella ricerca di mantenere il fisico allenato, iniziai anche a dedicarmi allo sci di fondo. Incontrai Emilio Longo sul mio cammino, grande sportivo, plurimedagliato che diventò il mio mentore e maestro in questo sport. Partecipai a svariate edizioni della Marcialonga con il malcelato desiderio in mente di arrivare un giorno a percorrere i 90 km svedesi della Vasaloppet, che avevo “snobbato” un giorno per il Nepal. Quest’anno, con grande gioia, per festeggiare il mio 60° anno, finalmente me la sono regalata, in 9 ore e 9 minuti. Grande esperienza!

Il destino però, dopo l’Elbrus, aveva in serbo ancora qualcosa di buono per me… Un giorno, mentre ero in Mar Rosso a fare immersioni subacquee con Antonio, mi chiamò Antonella Beatrici, la compagna di Angelo Giovannetti, per invitarmi assieme ad altre due “normali alpiniste”, a tenere una serata di “MeseMontagna” a Vezzano, sulle nostre “imprese alpinistiche normali”. Fu così che conobbi Nico Masè e successivamente Paola Maffei di Pinzolo. Il feeling che scaturì immediatamente con quelle che sarebbero diventate mie amiche e compagne di avventure ci portò a fare, soprattutto in Brenta, camminate e sciate; e quante vette raggiungemmo assieme, facendo ogni volta il pieno di gioia!

Gli anni passano, ma per fortuna il mio fisico mi sostiene e mi consente di continuare ad osare. La voglia di sempre nuove avventure mi brucia dentro. La vita è bella e ricca! Per festeggiarla nel 2016 sono stata con Angelo in Bolivia, toccando i 6098 metri della cima più alta sinora da me raggiunta: l’ Huayna Potosi. Ed ancora in Perù nel 2017 con altre bellissime montagne. Appena rientrata dal Perù, ben allenata ed acclimatata alle alte quote, come in un fuoco di artificio di emozioni ho inanellato in rapida sequenza il Monte Bianco, l’Ortles- Hintergrat, il Bernina- Biancograt. Grandi avventure… ed i programmi per quest’anno non sono da meno, ma questa è un’altra storia. Evviva!

Vorrei concludere questo racconto con il mio motto: essere sempre abbastanza allenati per poter cogliere al volo l’occasione, anche la più ardita.

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