Goulotte sul monte bianco

Ogni volta che succede un incidente, anche senza conseguenze gravi, in montagna, c’è una schiera di persone pronte a scrivere, puntualmente in caps lock, che se la sono andata a cercare, che è ridicolo farsi male così o che dovrebbero pagare il recupero. Ogni volta io penso che rivorrei indietro la mia quota di tasse che è andata nella loro istruzione primaria.

I programmi miei e di Ange erano quelli di salire al Torino, fare una goulotte facile di pochi tiri il primo giorno, fare la Modica il secondo e il terzo scendere sempre dal Torino. Inutile dire che nulla è andato come stabilito.

La sveglia, infame, suona alle 4. Alle 5 in autostrada ci siete sempre solo tu e quelli che arrivano diretti dall’after. All’autogrill, cercando di ritrovare la dignità in un caffè e una melizia non capisci mai se sei più idiota tu o loro. Comunque credo che loro scrivano usando il caps lock, mi consolo con questo pensiero. Ci fermiamo a fare colazione, la temperatura fuori è ancora, di pochissimo, sopra lo 0. Un bel tempore, quasi me lo godo visto che so che me lo scorderò per i prossimi due giorni.

Ci sono però screanzate scelte che per fortuna evitiamo di fare tipo dormire in tenda, superati i 30, ovvero l’età in cui scopri dov’è la sciatica e che se ti alleni due volte di troppo devi recuperare talmente tanto che tanto valeva non farlo, l’idea di bivaccare nei sacchi a pelo temperatura comfort -30 con le minime di notte a -25 è qualcosa che saggiamente non prendiamo nemmeno in considerazione. Hashtag alpinismoeroico. Sono già le 9.30 quando usciamo dal rifugio con gli sci.

Scolliniamo il Col Flambeau e davanti a noi in fila come gli indiani svettano i Satelliti. Non è la prima volta nè per me nè per Ange da queste parti, ma di sicuro ogni volta è come se lo fosse. Questo luogo ha esercitato su di me un fascino incredibile dalla prima volta che ci sono venuta. Mi piace vincere facile, perché annovero il Bianco e tutte le sue guglie, gugliette, anticime, creste, crestoni, crepacci e seracchi tra le cose più belle che abbia visto al mondo. Ma dico davvero, cioè lo metterei in uno di quelli elenchi di cose da fare prima di morire. O anche cose da fare se vuoi morire, dipende un po’ dai punti di vista.

Comunque scivoliamo con gli sci sotto ai satelliti, facendo in 5 minuti il muretto che porta giù nella conca e da lì iniziamo a pellare verso il Tacul. Alla fine puntiamo lì, Ange si gira e mi dice “ma se la facessimo oggi, la Modica, così domani che siamo più stanchi facciamo qualcosa di più tranquillo?”. Ora, la differenza in montagna tra me e Ange è incolmabile, ma credo proprio che sia una questione genetica. Mi spiego, avete presente i figli quelli che erano bravi ma non si applicavano? Ecco, signori miei, io l’opposto. Nessun insegnante ha mai detto di me che non mi applicavo, anzi, hanno sempre evidenziato che i miei risultati fossero sorprendenti se confrontati alle mie potenzialità.

Un modo gentile per dire che c’aspettavamo facessi più schifo. Tutti, insegnanti, allenatori, tutti. Infatti io il mio nella vita ce lo metto, mangio sano, mi alleno, cerco di tenere insieme salute mentale-lavoro-condizioni igieniche decenti-amici-riposo-interessi-non chiudermi ed esplorare sempre campi nuovi-leggere-ascoltare musica, m’è venuto il fiatone solo a pensarci che ansia. Chissà come li ha spesi, la mia psicologa, i soldi che s’è guadagnata grazie a tutta questa situazione.

Tutto questo per dire che quando decidiamo di attaccare la Modica/Gabarrou (hanno lo stesso attacco, se siete finiti su questo sito cercando relazioni non ne troverete molte, tutta la roba che faccio sta su Gulliver da 20 anni o addirittura su Sassbaloss if you know what I mean…) Ange è un fiorellino, col fiatone, ma ancora un fiorellino, io, per dirla in francese, col cavolo. L’idea di affrontare 500 metri di via mi fa fare quel pensiero eroico che tutti gli alpinisti fanno di fronte alle difficoltà: ma non preferiresti dei deliziosi cereali Cheerios?

Parte lui e a dire il vero non avevo idea di come fosse il ghiaccio delle goulotte e di come fossero le goulotte. Ho più esperienza col ghiaccio delle cascate (ora mi sciacquo la bocca, perdonatemi). Ho scoperto che le goulotte sono invece fighissime: superato lo scoglio psicologico del fatto che sono praticamente improteggibili o quasi, la parte bella della storia è che sono piccoli salti di ghiaccio intervallati da lunghi canalini di neve che scorrono via veloci. Il ghiaccio poi è diverso, è praticamente neve pressata e trasformata e in questo caso è gradinata dalle ripetizioni, cosa che fa storcere il naso ai più ma non di certo a me!

Dopo Ange, vado avanti pure io, mi piscio addosso come un gattino che è salito sull’albero sbagliato ma è più l’inquietudine del posto e un certo senso di affaticamento. Praticamente abbiamo attaccato alle 12, ora che ritorniamo agli sci tra doppie e tutto si son fatte quasi le 18. Ueli Steck sarebbe fiero di noi, lo so. La goulotte in sè l’abbiamo trovata in condizioni davvero buone, le soste a prova di bomba ne facilitano il percorso e le doppie, al bivio tra la Gabarrou e la Modica abbiamo optato per la prima a causa dell’intoppo che c’era sulla Modica da parte delle altre cordate davanti.

Mentre ci caliamo, alle nostre spalle, le nuvole si schiariscono attorno al Dente del Gigante. Sarò romantica al punto da risultare stucchevole, ma credo sia stato uno dei momenti più belli che abbia vissuto recentemente. Presente, semplice, mi ha fatto sentire grata di tutto, di poterlo fare, di aver scelto uno stile di vita sicuramente non comune, di aver avuto coraggio e non intendo per scalare (quello mai) ma per seguire la mia strada, per essermi fedele, per coltivarmi e coltivare il terreno e le persone che mi hanno portata ad apprezzare così tanto certi luoghi.

Quando rimettiamo gli sci ai piedi capisco che manca ancora la parte peggiore. Scivoliamo di nuovo nella conca sotto ai satelliti, fin dove riusciamo e quando è ora, rimettiamo le pelli. Saranno 200 metri di dislivello. Io credo che nessuno abbia mai percepito quei 200 metri come tali, la loro potenza ti arriva come uno schiaffo sul coppino quando ti sei bruciato al sole il 15 di agosto, non finiscono più.

A quel punto della giornata io semplicemente mi arrendo al mio destino, con passo himalayano penso che prima o poi arriverò anche al Torino, anche se più volte ne dubito. Mi fermo a riposare pure a vista funivia, non ce la faccio più ma dentro di me qualcosa mi dà le ultime, residue energie, una spinta finale per trascinarmi al sicuro. La preservazione della specie, l’idea della sopravvivenza, o molto più semplicemente l’idea che poi mi deriderebbero in caps lock online e no, non me lo merito.

Disfo il materiale e svengo, mentre decidiamo che fare domani, che ovviamente contrariamente ai programmi iniziali non sarà qualcosa di più tranquillo ma questa è un’altra, seconda, storia.

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