Oggi parliamo di Freeride con Giulia Monego. Giulia è una Guida alpina a Chamonix e sciatrice professionista. È stata la prima italiana a partecipare a gare internazionali, una su tutte il Freeride World Tour e a salire sul podio nelle gare di freeride internazionali.
Giulia come nasce la tua passione per il Freeride, in anni, come inizio del 2000, dove non era una disciplina diffusa in Italia ?
Ho scoperto il freeride quando nel 2003 mi sono trasferita in Svizzera a Verbier, rinominata guarda caso “la mecca del freeride”. Dall’anno seguente ho preso parte ad alcune gare internazionali e l’ambiente, il formato, la libera interpretazione mi hanno subito ispirato ad allenarmi e approfondire l’argomento.. Li ho conosciuto tanti atleti professionisti che assieme a fotografi e cameraman ne facevano un lavoro a tempo pieno. Il terreno e la neve di Verbier mi hanno fatto scuola.
In italia al tempo non si parlava di freeride. C’era poco sci “fuori pista” pochi sci larghi, poche stazioni che ti lasciavano libero accesso al “non battuto”, la neve fresca e il terreno raggiungibile con impianti e propri mezzi. In italia per andare fuori pista si privilegiava lo snowboard o il telemark o gli sci d’alpinismo in primavera. Lo sci era ancora fermo a dei canoni e materiali abbastanza vecchi. Era la rivoluzione del Carving quindi si iniziava a vedere un rinnovo importante per lo sci alpino, ma in italia specialmente non si era ancora ampliato a discipline come il freeride. I primi sci larghi che ho comprato in Svizzera erano dei Rossignol Bandit B3, 94mm al centro, bianchi e neri montati con attacchi da telemark. In italia erano visti come delle mostruosità. ahahah
Come è stato partecipare alle prime gare internazionali?
La mia prima gara è stata il Verbier Ride nel 2005 e arrivai 2a. Dal 2006 partecipai a vari eventi in Europa e Stati Uniti per poi terminare guadagnandomi il posto da matricola al Verbier Xtreme. Lo vinsi e da li iniziai una carriera professionistica più seria.
Conoscere gli altri atleti/e di tante nazionalità diverse e girare con loro per alcune delle più belle stazioni d’Europa e Nord America è sicuramente stata un’esperienza magnifica che regala un senso di libertà e allo stesso tempo crea una comunità di amici, e una specie di famiglia con la quale sono ancora legata.
Adesso Arianna Tricomi è una delle italiane più forti in questa disciplina, che altre atleti/e ci sono emergenti ?
Arianna è una ragazza giovane e piena di talento. La conosco da tanti anni ma viviamo lontane e non abbiamo mai sciato veramente assieme. Mi ricordo che mi aveva chiesto dei consigli tanti anni fa su come cercare un buon sponsor e come partecipare alle prime gare di freeride. Spero di averle dato qualche buon consiglio, anche se non ne aveva probabilmente bisogno, ma sono stata fiera di vederla partecipare al FWT e a vincere tutti i suoi titoli. Al di là di Arianna conosco bene anche Silvia Moser che dopo qualche stagione di gare ora si dedica al vero spirito freeride, con viaggi e piccoli progetti per la produzione di video. Spero che l’esempio di Arianna e Silvia ispirino delle nuove leve giovani a appassionarsi a questa disciplina.
Cosa pensi del futuro del Freeride in conseguenza agli evidenti cambiamenti climatici?
Si purtroppo i cambiamenti climatici si fanno sentire e gli inverni sono diventati più imprevedibili del solito. Si notano sempre di più alternanze di picchi e cali delle temperature notevoli che se associati a perturbazioni possono compromettere le condizioni della neve anche per parecchio tempo. Si sa che per far freeride si ha bisogno di parecchie precipitazioni nevose di base e di un rigenero della neve fresca il più sovente possibile . Si può notare come negli ultimi anni le precipitazioni in tutto l’arco alpino sono molto localizzate e intervallate da lunghi periodi di alta pressione… perciò non le condizioni ideali per praticare e sciare tutti i giorni. Il freeride è sci libero fondamentalmente, ed infatti il bello è che non si finisce mai di imparare. Per migliorarsi perciò si devono accumulare tante giornate, in condizioni di neve e su pendii, svariati, per imparare ad adattarsi a tutte le condizioni.
Dove sono i migliori spot di Freeride in Europa?
Gli spot più conosciuti sono anche quelli che attirano tanta gente perciò hanno i loro pro e contro. Alcuni spot più piccoli a volte offrono altrettante possibilità di trovare neve fresca e la più bassa frequentazione permette di sciare più a lungo in buone condizioni. Verbier rimane il mio posto preferito e credo che a livello di terreno accessibile con gli impianti, sia insuperabile. Poi ci sono tante stazioni tipo in Austria, Arlberg, Zillertal o in Svizzera tipo Engelberg, Andermatt, che sono già famose e vanno la pena di essere visitate. In Francia Chamonix rientra a mio avviso più nella categoria alpinismo e sci ripido, altrimenti in Tarantaise, stazioni tipo Les Arcs , Val d’Isere e Meribel possono offrire buon terreno e sono generalmente abbastanza nevose. In Italia abbiamo la zona del Monte Rosa che è stata la prima a etichettarsi come stazione freeride e che segue delle regole più di buon senso quando si parla di legislazione e responsabilità in fuoripista. Le Dolomiti sono un terreno stupendo ma non molto “freeride”. Più cha altro ci si diverte a sciare canali e discese tecniche, piuttosto che uno sci stile freeride vicino agli impianti, in quanto spesso vietato dai sindaci dei vari comuni.
In Italia come si vive il Freeride? Che tipo di approccio hanno le stazioni sciistiche?
Non sono una esperta sulla situazione Italiana delle varie stazioni in rapporto al fuoripista. Sicuramente ci sono dei precedenti penalizzanti che mettono in cattiva luce i praticanti. Quello di vietare é un approccio sbagliato, generalmente in tutti i campi. Io punterei di più sulla formazione, sul responsabilizzare i singoli praticanti e incentivare corsi formativi sulla sicurezza personale e migliorare la sicurezza della stazione in generale e non solo delle piste battute.
Hai in programma altre spedizioni di scialpinismo e Freeride in futuro? Te ne sono saltate vista l’emergenza sanitaria?
Causa Covid19, questa primavera 2020 a livello lavorativo è saltata completamente. Dovevo lavorare in Russia e poi in Norvegia oltre a molte giornate qui in zona Chamonix e una scialpinistica Chamonix- Zermatt.
Per quel che riguarda i miei progetti personali, spero di poter incastrare un viaggio in Autunno, magari in Nuova Zelanda con una mia amica Canadese.
Parliamo della tua principale professione di guida alpina, come si lavora a Chamonix ?
A Chamonix si sta bene, e a livello lavorativo c’ è sicuramente un bacino d’utenza molto concreto e vario che permette di lavorare quasi tutti i mesi dell’anno e con clientela di diverse nazionalità e provenienze culturali. Mi piace perché è un ambiente motivante e ci sono tante persone competenti con le quali scambiarsi opinioni, imparare e incentivarsi. Il tipo d’alpinismo e sci che si fa qua, però dall’altro lato è un po’ frustrante in quanto generalmente sovraffollato.
Quante donne guide alpine ci sono e che differenze rispetto all’Italia per questa professione?
A Chamonix e dintorni siamo più o meno una quindicina di donne guide in attività. É bello vedere delle colleghe prendere la stessa funivia, attaccare la stessa via o mettere le pelli per la stessa gita. c’è più complicità tra donne anche se possiamo essere molto competitive anche noi. Io mi trovo bene anche se l’ambiente maschile è quello dominante, ma devo dire che mi sono sempre sentita trattata più alla pari qui a Chamonix rispetto all’Italia.
Secondo me in italia c’è ancora molto “machismo” attorno all’ambiente montano e sia colleghi che frequentatori della montagna in generale, fanno più fatica a relazionarsi alla pari o a livello inferiore di una donna.
Spero che tra le tante brave donne appassionate ci si possa dare una mano a vicenda e ad entrare nel mondo del lavoro della guida alpina, che io trovo molto bello e appagante. Mi piacerebbe che ai corsi guida si valorizzassero di più altri aspetti del lavoro della guida, come gli aspetti, di comunicazione, motivazionali col clienti a psicologici per entrambe le parti, e meno altri, che trovo di stampo puramente competitivo e di soddisfazione dell’ego di alcuni.