UN EDIFICIO FATTO DI STORIE

Quando il blog mi ha chiesto di scrivere un articolo su che cosa significhi essere o fare la donna in montagna, ne sono stata molto felice. Devo ammettere che, per la mia scarsa attitudine social, non conoscevo questo blog e neppure ne avevo mai sentito parlare. Questo fatto, però, mi ha incuriosita molto e quindi ho cercato subito la loro pagina online e ne sono rimasta piacevolmente sorpresa. Ho iniziato a leggere una storia dopo l’altra, a guardare una foto dopo l’altra. Leggere quelle storie e osservare le foto che le scrittrici stesse hanno scelto per rappresentare se stesse, è stato come vedere ciascuna di loro aggiungere un mattoncino all’edificio dell’autorealizzazione che noi donne stiamo cercando di costruire. Un edificio che ci protegga ma che, al tempo stesso, ci esponga, ci renda visibili. Io immagino un edificio fatto dello stesso materiale delle nostre storie, che sta in piedi grazie alla consapevolezza della società.

Spesso si parla di “Donne che si fanno strada da sole” , ma non si comprende il vero significato di queste parole. Noi donne siamo forti e la storia, devo dire, lo dimostra pienamente: se solo ci fosse più interesse e meno discriminazione, tutti potremmo sapere che sono davvero tantissime le figure femminili che hanno cambiato il mondo. Con piccoli o grandi gesti hanno cambiato il mondo e lo hanno reso un posto più giusto.

Queste storie sono spesso dimenticate, tralasciate o mai narrate, ma ciò non toglie loro la dignità di essere lette e ascoltate. Ogni giorno donne e uomini sono spinti a creare una facciata che li renda credibili di fronte ad altre donne e altri uomini, sono sottoposti al giudizio e alla valutazione di altri e tendono a ripetere comportamenti e atteggiamenti ritenuti adeguati dalla società.

Ma le donne, in quanto a pressione sociale, sono in vetta alla classifica. Nel gergo accademico usiamo “intersezionalità” per indicare la sovrapposizione di identità sociali nella stessa persona (etnia, classe sociale, professione, religione, credo politico, cultura, …) e le relative discriminazioni. Ma a tutti questi fattori discriminanti nel caso delle donne si aggiunge quello di genere. E questo, purtroppo, si riscontra anche nello Sport che, eppure, è decantato come lo strumento con cui abbattere i “confini” che separano gli individui e unire tutti attraverso un unico linguaggio. Lo Sport, però, è la riproduzione della società stessa: riflette le relazioni e le contraddizioni in cui siamo immersi ogni giorno e ospita il processo della costruzione culturale di genere.

Se una donna ottiene un risultato alpinistico (vale per qualsiasi altro campo sociale) prestigioso almeno quanto quello di un uomo, ci sorprendiamo tutti un po’ ma poi, con molta probabilità, il valore che viene dato alla sua impresa è di gran lunga inferiore a quello dell’altro sesso.

La donna si sente bloccata in una posizione sociale che le è stata attribuita, il cui cambiamento, ad oggi, è ancora una meta lontana. Il “soffitto di cristallo” che incombe su tutte le donne, evidente in campo professionale, lo è anche in quello sportivo. E se uniamo i due aspetti (Sport e lavoro)? allora la discriminazione è assicurata: ad oggi le posizioni occupate da donne nelle Federazioni sportive (compresa quella alpinistica e quella di arrampicata) e nei Gruppi sportivi professionisti (come Esercito, Fiamme Oro, Fiamme gialle, Fiamme azzurre, Fiamme rosse, …) sono inferiori a quelle degli uomini, sia in termini di numero sia di prestigio. Consultare le statistiche è veloce e molto esemplificativo a tal proposito.

Questi esempi mostrano bene che si tratta di un problema ingombrante nello Sport quanto nel resto della società e che le donne, in quanto immerse nel tessuto sociale, hanno bisogno della solidarietà di tutti gli altri, sia uomini sia donne, non perché sono incapaci di “farsi strada da sole”, ma perché altrimenti sarebbe come voler tracciare una strada venendo ostacolate continuamente da un muro invalicabile e indistruttibile.

Infatti, io penso che nessuno dei due sessi sia in grado di “farsi strada” da solo, ma che in ogni caso il successo di uno è reso possibile anche grazie alla consapevolezza e alla solidarietà dell’altro: ogni uomo e ogni donna dovrebbe avere la possibilità di “essere” anziché di “fare”, di “scegliere e agire” anziché “dover scegliere e dover agire”.

È come se la donna tentasse di costruire quell’edificio con la propria storia e ci fosse qualcuno che sottrae continuamente parole al suo discorso man mano che lo compone. Se anziché sottrarre, quelle parole fossero lette e raccontate a gran voce, allora la storia stessa avrebbe uguale valore di quella di un uomo e quella donna “si farebbe strada da sola”. La consapevolezza e la solidarietà degli uomini e delle altre donne, infatti, non significa che la storia della donna sia frutto dello sforzo congiunto dei due sessi, ma che quel suo processo di autorealizzazione non sarebbe ostacolato da nessuno e, solo allora, la donna avrebbe la stessa opportunità dell’uomo di portarlo a termine.

Quindi rivolgo a tutti un consiglio: iniziate ad essere realisti, ad avere il coraggio di riconoscere gli errori e ad essere consapevoli di ciò che ci circonda. Ponetevi delle domande, riflettete e cercate le risposte anche negli altri, che alla fine sono il riflesso dei nostri stessi comportamenti. Vi accorgerete che per comprendere e avere la consapevolezza di una realtà come la discriminazione di genere, basta porre la giusta attenzione alle piccole cose, come leggere “semplicemente” un blog come questo, o come altri.

Quando sarete un po’ più consapevoli? Innanzitutto, quando vi accorgerete che storie di donne scritte da donne non si leggono molto in giro e che sono costrette a ritagliarsi uno spazio creato appositamente come un blog, poi, quando inizieranno a sorgere in voi altre domande.

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