“La mia Cina”

Atterriamo all’aeroporto di Urumqi verso le undici di sera, è il 31 dicembre e fuori la temperatura è sotto lo zero di parecchi gradi, non saprei dire quanti. Ci fanno salire su un van che ci è venuto a prendere nel parcheggio e grazie a Dio i bagagli sono arrivati tutti (cosa non scontata in Cina), perciò siamo fortunati. Pochi minuti dopo siamo di in viaggio, per la strada, di nuovo. Osservo fuori dal finestrino le luci che illuminano le insegne stradali, l’unica cosa che riesco a vedere. Sono abituata a leggere le indicazioni in cinese, raramente scritte anche in inglese, ma qui noto un’altra lingua ancora. Si tratta dell’uiguro, lingua parlata dalla minoranza etnica uigura prevalente sul territorio dello Xinjiang (45%).

Ci dicono che impiegheremo all’incirca un’ora e mezza per arrivare al centro di allenamento per gli sport invernali, dove trascorreremo le prossime due settimane insieme ai nostri atleti.

La mezzanotte fa in fretta ad arrivare e festeggiamo il nostro capodanno sul van, facendo un brindisi con le uniche due lattine di birra che eravamo riusciti a recuperare durante il viaggio. Non il migliore degli inizi, ma bisogna accontentarsi. Ad interrompere i nostri festeggiamenti sono due militari che ci fermano alla prima stazione di polizia lungo la strada. Ci fanno scendere, solo noi quattro (già perché oltre a me ci sono la seconda interprete e i due allenatori), gli unici occidentali. Passaporti e documenti alla mano entriamo nell’ufficio della polizia per la registrazione, necessaria ogni volta che ci si sposta su questo territorio. Il poliziotto fatica a leggere i nostri nomi, ma ce la caviamo in pochi minuti, nonostante la diffidenza e la sua incertezza. Ci fanno gli auguri di buon anno e finalmente possiamo ripartire. Da qui possiamo già vedere una lunga striscia bianca che si srotola nel vuoto nero della notte, come fosse sospesa. È illuminata a giorno. Quella sarà la pista dei nostri prossimi allenamenti.

La pista per gli allenamenti di sci alpino

È notte inoltrata quando arriviamo a destinazione, entriamo in un ampio salone dove ancora sono sparsi a terra coriandoli e alcuni festoni, probabilmente qualcuno il capodanno lo ha festeggiato. Non si sono dimenticati di noi e in fondo alla sala ci hanno lasciato qualche pietanza, che però alle due di notte si è ormai raffreddata. Affamati e riconoscenti per l’accoglienza decidiamo di servirci di un po’ di riso e qualche verdura.

La regione autonoma uigura dello Xinjiang è la regione più grande di tutta la Cina. Essa confina con i territori cinesi della Regione Autonoma del Tibet a sud e con le province cinesi di Qinghai e di Gansu a sud-est. Confina inoltre con altri Stati quali la Mongolia ad est;  la Russia a nord; il KazakistanKirghizistanTagikistanAfghanistan (Corridoio del Vacan), Pakistan (Trans-Karakorum) e la parte del Kashmir controllata dall’India a ovest.

Sono all’incirca le nove del mattino, mi sveglio raggrinzita dopo una notte trascorsa a dormire su un letto che è composto solamente da una tavola di legno e un sottile materassino. Non sono ancora abituata, ma dicono che fa bene dormire così.

Scosto la tenda che copre la l’ampia finestra della nostra camera e ammiro il paesaggio che mi lascia senza fiato e mi accoglie con la sua alba nella prima giornata dell’anno. Il sole non è ancora sorto, anche se è mattina inoltrata. Il Xinjiang mantiene lo stesso fuso orario di Pechino, ma essendo così a ovest il sole sorge e tramonta più tardi, quasi due ore dopo.

I campi innevati si distendono pianeggianti fino ad arrivare alle pendici delle montagne che si elevano intorno alla città di Urumqi. Fanno parte della catena montuosa Tian Shan (天山)che si estende partendo dall’area della città di Urumqi nel cuore dello Xinjiang, per estendersi fino ai confini con il Kazakhstan e il Kyrgyzstan e incontrare la catena degli Altai a nord. Ha un’estensione di 2500 km ed è una delle catene più alte dell’Asia. Le vette più alte sono un gruppo centrale di montagne formanti un nodo, dal quale varie creste montuose si estendono lungo i confini tra Cina, Kirghizistan e Kazakistan; queste vette sono il Pik Pobedy, che con i suoi 7439 m è la cima più alta della catena, e il Picco Khan Tängiri, che raggiunge i 6995 m ed è la vetta più alta del Kazakistan.

Apro la finestra e lascio che il sole salga da dietro le cime e faccia brillare l’erba ghiacciata nei campi.

Le giornate trascorrono dettate da un ritmo costante. Al mattino allenamento sulle piste del Silk Road Ski Resort, uno dei migliori della Cina e dell’intero Xinjiang, forse grazie all’impronta lasciata dal pioniere alto atesino Erwin Striker, che ha contribuito alla progettazione e alla sua nascita.

Qui di allenamenti e piste se ne intendono poco e ci mettiamo subito all’opera per creare la pista di allenamento per i nostri atleti, rappresentanti della squadra regionale di sci alpino. Lo staff responsabile delle piste accoglie con entusiasmo il nostro progetto e in un paio di giorni reti, pali, protezioni sono pronti per noi. Diventiamo da subito l’attrazione per i cinesi che si dilettano sulle piste e di sciatori professionisti non ne hanno mai visti.

Il pomeriggio lo passiamo in palestra nel centro sportivo dove noi e gli atleti soggiorniamo. Non ci è permesso uscire, se non in rare occasioni e accompagnati dal nostro responsabile cinese, registrandoci ogni volta alla polizia.

La situazione politica qui non è semplice, a causa della stretta da parte del governo di Pechino su questi territori a prevalenza musulmana.  Nelle pause dal lavoro mi concedo una corsa all’interno del centro di allenamento, vedendo sfrecciare sulla mia testa aerei militari che sbucano di tanto in tanto da dietro le montagne attorno. Non sono abituata, ma nessuno ci fa caso e continuo a correre.

Il silenzio qui è l’unico compagno. La bellezza delle montagne che mi circondano, il cielo terso e l’aria gelida mi accompagnano e mi fanno sentire più leggera con i miei passi scricchiolanti sulla neve.

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