UNA LACRIMA DI GIOIA

Due corsi roccia con la Scuola Graffer, il primaverile e l’estivo ed il sogno di scalare una montagna. Non una semplice vetta ma quel campanile impresso sullo stemma della Scuola. Il campanile Basso di Brenta. Ecco, questa era la mia allieva durante i corsi. Paula, una ragazza spagnola, molto volonterosa quanto caparbia che aveva il desiderio di realizzare questa salita.

Un rifugio, un quarto di vino, una chiacchierata tra due amici, una bella dormita e finalmente l’alba baciava la nuda roccia. Paula mi guardava mentre se ne stava attaccata ai chiodi. Ora lei ed io eravamo due ragnetti attaccati alle pareti di una delle più ardite guglie dolomitiche, il Campanile Basso di Brenta, alto circa trecento metri. Eravamo partiti da alcuni minuti dalla base del monolito, il cielo era terso.

Il rifugio Pedrotti dal quale si parte per salire sul Campanil Basso

Un timido sole ci riscaldava, ma il vento che ci accarezzava era gelido. Scrutai il paesaggio ed attorno a me vidi solo roccia gialla, grigia, bianca. Osservai la parete che ci sovrastava, era perfettamente verticale. Faceva freddo nell’ombra e la roccia appariva quasi viscida. Era proprio qui che iniziavano i primi passaggi di arrampicata più impegnativi, così incitai la mia “allieva” a seguirmi su quella paretina leggermente strapiombante che si ergeva sopra i nostri caschi.

L’arrampicata non era proprio agevole nonostante le apposite scarpette occorreva alzarsi bene con i piedi, mentre le mani avevano pochino a cui appigliarsi. La roccia era ancora ghiacciata specialmente nelle fonde lame in cui dovevo inserire le mie dita che erano ormai intirizzite dal freddo.

Nello stesso momento, riflettendo un po’ capii che mi stavo lamentando proprio per niente se pensavo ai tre temerari che alla fine dell’Ottocento si apprestavano ad affrontare quelle stesse difficoltà con calzature di fortuna, senza imbracatura, legati in vita a precarie funi che non avrebbero probabilmente retto la caduta nel vuoto. Ben presto Paula arrivò in sosta, anche lei aveva le mani infreddolite ma nonostante ciò volle proseguire nella salita. Ora la scalata diventava molto più facile, una fessura ci portò allo “stradone provinciale”, una larga cengia che tagliava trasversalmente l’enorme campanile. In questo tratto avemmo la possibilità di rilassarci, mangiare un po’ di cioccolata e bere the caldo, questo ci aiutò nel proseguo della scalata.

Venimmo nuovamente investiti da raffiche di vento freddissimo, ma dovemmo inerpicarci ancora visto e considerato che la vetta era più o meno cento metri sopra le nostre teste. Salii un lungo ma abbordabile camino, l’ultimo salto roccioso di media difficoltà. Ero  giunto finalmente “all’albergo al sole”, una cengia piccola ma accogliente. Nonostante fosse solo settembre, il vento era tagliente. Mi sembrava di essere in autunno inoltrato.

Nel proseguo gli appigli si fecero più piccoli ma fortunatamente erano saldissimi. La roccia era splendida cosicché riuscii ad arrampicare in modo leggero ed elegante. Muovendomi con infinita cautela infilai i moschettoni nei chiodi e vi feci scorrere la corda.

Afferrai infine un grosso appiglio capendo che le difficoltà erano finite. Incitai e recuperai con orgoglio la mia compagna di cordata. Eravamo finalmente giunti insieme su quella “piccola isola con alte e superbe sponde”.

Paula e Massimo in cima al Campanil Basso

Ora potevamo divertirci a suonare come da rito la campanella tibetana posta all’estremità di un terrazzino e dilettarci con le foto di rito.

Dopo tanta fatica, dagli occhi di Paula uscì una lacrima di gioia, poi un pianto liberatorio che suscitò in me un nodo in gola. Mi resi conto solo ora di aver aiutato una persona a coronare un grande sogno e questo mi rese un uomo felice ed appagato.

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