SCALARE, LOTTARE E RINASCERE: LA STORIA DI SARA GRIPPO

Una storia di lotta, di coraggio, ma soprattutto di forza di volontà, quella della climber Sara Grippo che, a 23 anni, ha scoperto di essere affetta da una malattia infiammatoria autoimmune legata ai reni. Sara, originaria di Paesana in Valle Po, adesso vive ad Arco, ha atteso sei lunghissimi anni prima di ricevere un rene “nuovo”, anni in cui non ha perso le speranze e ha continuano a “sopravvivere” grazie all’arrampicata. I problemi rimanevano alla base della parete e lei scalava libera e più viva che mai.

Sara, cosa è successo all’età di 23 anni?

Io sono sempre stata bene, ero una persona sportiva, andavo in montagna, facevo snowboard. Da un giorno all’altro, ho iniziato a prendere chili, ben 12. Per tre mesi, ho girato vari ospedali ma nessuno mi dava una risposta. Poi il17 febbraio del 2008 sono entrata nell’ospedale di Torino e ne sono uscita solo ad aprile: è stata un’esperienza distruttiva. Mi hanno diagnosticato la Glomerulonefrite autoimmune, una malattia infiammatoria che colpisce i glomeruli renali e che può portare alla distruzione di questi con il conseguente blocco della funzione renale.

Una patologia molto pericolosa, perché i liquidi mi finivano nel cuore e nei polmoni, mettendo a rischio la mia vita. Ero grata se superavo la notte, prendevo 16 pastiglie al giorno, più varie altre terapie, mi sentivo svuotata e confusa…


Come è cambiata la tua vita da quel momento?

Diciamo che inizi ad apprezzare le piccole cose, apprezzavo il profumo dell’aria, il sole che ti scalda la pelle, l’aria che ti sfiora. Non ho mai dato nulla per scontato, quei due mesi in ospedale mi hanno fatto capire cosa potevo perdere. Usciata dall’ospedale, faticavo a camminare, ma piano piano, ho ripreso in mano la mia vita. Ho iniziato a scalare ed è stato un colpo di fulmine con l’arrampicata: mi faceva sentire di nuovo viva, sentivo il mio corpo e i imiti che potevo superare.

A 28 anni però la malattia si è riproposta e hai dovuto iniziare la dialisi..

Si, esatto. La malattia è di nuovo esplosa e sono finita in dialisi, tre volte alla settimana, quattro ore al giorno. Uscita dall’ospedale, dopo la dialisi, ero un’ameba, mi riprendevo solo la sera. Ho avuto anche diversi ricoveri. Vivevo al 50%, ma nei giorni che non facevo dialisi cercavo di ricaricarmi e di stare in mezzo alla natura con gli amici, andando a scalare o in montagna.

In che modo è stata fondamentale per te l’arrampicata?

Quando salivo in alto, in parete, lasciavo i problemi alla base, era come se raccogliessi energia positiva che mi portavo in ospedale. Ho capito che la mia vita non era solo la mia malattia. L’arrampicata mi dava la forza per i giorni che stavo in ospedale, mi tirava su quando ero stanca e davvero giù di morale. Ero riusciva a crearmi una vita, oltre alla malattia, anche se vivevo solo grazie alla macchina. Non potevo bere, perché non facevo più la pipì (i miei reni non funzionavano completamente più), e per me l’acqua era diventata una droga, , non bere era davvero difficile. La domenica era il momento peggiore, perché stavo per due giorni senza fare la dialisi e gonfiavo anche di tre chili, era una lotta costante.


E poi è arrivata I-Rene, chi è e cosa ti ha consentito di fare?

Abbiamo chiamato I-Rene questa macchina di dialisi portatile, che mi ha regalato maggiore libertà. Il mio compagno, Stefano (Stefano Ghisolfi, ndr) ed io abbiamo imparato ad usarla, abbiamo fatto dei corsi e lui è diventato praticamente il mio infermiere. Siamo potuti partire e andare in Spagna a scalare con il furgone, facevo la dialisi 4 volte in settimana con questo macchinario portatile. È stato un periodo bellissimo, Stefano ha anche chiuso un 9b, io un 7b+.  Stefano è stato fondamentale per me, è l’amore della mia vita.

E poi è arrivata la tanto attesa e agognata chiamata..

Era il 2 febbraio 2018, erano le 4 e mezza di mattina, e il telefono ha squillato. Ovviamente io dovevo avere il telefono sempre acceso e con me, perché la chiamata per il trapianto di reni sarebbe potuta arrivare in qualsiasi momento. Ho aspettato 6 lunghissimi anni e avevo un po’ perso le speranze, fino a quel giorno, quando ho visto sul cellulare il numero dell’ospedale di Torino. Ho fatto rispondere a Stefano, ero troppo sotto shock. C’era un rene compatibile e quindi sono corsa in ospedale per un’operazione immediata.


La tua storia Sara, è soprattutto una storia di forza di volontà, cosa rappresenta per te?

Per me è tutto. La forza di volontà è il nostro motore più grande, grazie a lei noi possiamo fare quello che ci sembra impossibile. Se non l’avessi avuta, mi sarei probabilmente arresa alla mia malattia, perché la dialisi ti “consuma” e ti “mangia” a poco a poco. Il messaggio che voglio dare è un messaggio di speranza, di cercare di non mollare mai e assecondare le nostre passioni, concentrandosi sulla forza di vivere.

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