Sono passati quattordici anni da quando la montagnaterapia mi ha guarita. Da cosa? Dalla crisi di identità che si insinua nella psiche di un atleta quando diventa “ex”. Dal vuoto che la vita senza gare faticosamente riempie con nuovi obiettivi. Dalla delusione, inevitabile, di chi prima è protagonista e poi diventa un ingranaggio (spesso fermo) di un sistema che tende in una direzione opposta e contraria.
Una pressione negativa che senza avvisi né campanelli d’allarme diventa de-pressione e tu quasi non te ne accorgi. Finché non arriva la scossa. E allora ti svegli e vedi, senti, ascolti, diventi consapevole del torpore narcotico in cui annaspavi fino a poco prima. E a me è arrivata una scarica potente, come solo la forza della natura sa dare.
Non è stata la montagna a venire a me come a Maometto (o meglio Muhammad diceva Francis Bacon), ma è stata Viviana Maffei, a portarmici: a farmi conoscere ed innamorare della completezza dello scialpinismo, della pienezza della vita outdoor, del fascino e della ricchezza dello sport fatto “esclusivamente” per il proprio benessere. Da allora è iniziata per me una nuova vita.
Anto e Vivi diventano le “Itinerande”. Nome d’arte che ci siamo date per tenere una rubrica di itinerari su una rivista outdoor, spaziando dallo scialpinismo alla mountain bike, dal trekking all’arrampicata. L’editore voleva che raccontassimo la montagna al “femminile” spostando la centralità dell’attenzione dai dati tecnici alle emozioni, dalle cime alle avventure vissute per raggiungerle. Così giochiamo con l’antico e inusuale verbo itinerare e lo coniughiamo al gerundio dandogli valore di aggettivo femminile…et voilà: le itinerande!
Prima rubrica, poi sito www.itinerande.it contenitore di tutte le nostre gite e i nostri tanti viaggi; riferimento per chi cerca spunti, stimoli, relazioni per programmare le escursioni. Sito che viene seguito parecchio, al punto che, nei posti più sperduti, con caschetto e metri di neve o con le corde tra le rocce più aspre, qualcuno ci dicesse: “Ma voi siete le itinerande”? Testimonianza di una catarsi perfetta in cui il peso del passato non cade sul presente ma viceversa: non sono la bi-campionessa olimpica che fa qualcosa in montagna, ma sono un’itineranda che ha anche vinto qualcosa quando si divertiva a fare le gare.
Però la gioia di questa nuova vita stava stretta nel tempo libero di un weekend o delle vacanze. E così è nata anche la locanda itinerande all’imbocco della Val d’Ambiez, nel parco Adamello Brenta, nella ristrutturata casa dei miei bisnonni, già locanda a fine ‘800. Una piccolissima attività di affittacamere con ristorazione vegana. Si, perché nel frattempo la consapevolezza ha portato luce anche in altre zone d’ombra.
Ai nostri ospiti offriamo un’esperienza diversa, fuori dal tempo, in una natura ancora selvaggia; un ambiente semplice e autentico che aiuta a mettere a fuoco i bisogni essenziali e distinguerli da quelli indotti. Un piccolo paesino dove non ci sono negozi, bar, edicole, niente, solo natura. Dove quello che ti serve non lo puoi comprare. Dove quello che puoi fare dipende solo dalla tua voglia e dalla tua forza di farlo.
Qualcuno un giorno, mi ha chiesto se questa scelta di vita non fosse troppo drastica e quasi sottovoce ha aggiunto anche l’aggettivo, “umile”. La domanda mi ha portato alla mente il panorama che vedo ogni mattina quando apro gli occhi: la Cima Ambiez e il canale di accesso, così apparentemente ostici che arrivarci sembra proprio impossibile. Una sensazione estremamente forte nonostante ci sia andata ormai infinite volte.
Un’immagine che mi rinnova quotidianamente l’insegnamento di controllare l’irresistibile tentazione di emettere pre-giudizi fermandomi all’apparenza. E allora la mia risposta fu che ogni nostra azione assume significato in relazione alla conoscenza del contesto personale e ambientale in cui si esplica.
Solo liberandoci dal peso del giudizio siamo liberi di vivere la nostra vita e non quella che gli “altri” vorrebbero per noi.
Sento di avere fatto di più per me e per il prossimo da quando esiste la locanda che in tutte le altre cose importantissime e prestigiosissime in cui sono stata coinvolta nella mia vita post agonistica. E se per qualche anno questo piccolo microcosmo è stata la bolla in cui mi sono rifugiata per tagliare fuori il mondo che non volevo, ora è diventata l’oasi in cui rigenerarmi per continuare le mie battaglie per il cambiamento che vorrei.
C’è stato un periodo in cui pensavo di trasformare il mondo, perché parlavo con due ori olimpici al collo. Poi, a mie spese, ho capito che il cambiamento avviene solo se le buone idee sanno viaggiare in autonomia, di persona in persona, ispirando con la forza dell’esempio.
Ecco l’ispirazione. La scintilla.
Come mai in un’epoca di sovra-stimolazione di informazioni e di apparenti pari opportunità, le imprese, le storie, le vite delle donne trovano ancora così poco spazio? Sembrerebbe un boicottaggio di qualsiasi racconto invogli ad uscire dai ruoli sterotipati che competono tradizionalmente alla donna.
Perché i papà che lasciano i figli a casa per andare a fare imprese improbabili, da cui a volte non tornano, diventano eroi e le donne, anche senza figli, non possono nemmeno pensare ad una pratica professionale della montagna senza doversi muovere, da sole, lungo gli insidiosi ghiacciai crepacciati della critica!?
Amo definirmi sorridendo una “portatrice sana e serena” di discriminazione che ha radici lontane: da quando, come altoatesina, ho scelto a che gruppo etnico appartenere e che etichetta indossare. Da quando mi sono dedicata a discipline sportive percepite come maschili; da quando ho scelto di vivere con la persona che mi faceva felice a prescindere dal suo genere; da quando ho imparato che scegliere cosa mangiare è una potente azione politica. La discriminazione quindi non mi fa paura, anzi: è diventata una compagna di vita utilissima come filtro. L’unico timore che ho è di non avere sempre la forza sufficiente per contrastarla. E per questo fare rete, ispirare e lasciarsi ispirare, è una sorgente da cui trarre continuamente nuova linfa.
Ogni conquista, anche quella che ora ci appare più banale, come poter scegliere il modo in cui vestirci, è costata fatica e lacrime a tante donne, spesso rimaste sconosciute, ma il cui impegno ne ha ispirate altre finché lo stimolo non ha potuto evitare il cambiamento.
Vorrei complimentarmi con Marzia Bortolameotti per questa stupenda iniziativa che da voce alle donne, alpiniste o meno ma tutte di montagna. Perché la vita “al femminile” è sempre e ancora una scalata che sarebbe bello affrontare in cordata. Per arrivare in alto ma soprattutto per andare oltre i condizionamenti che continuano a limitarci.